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Il costo dei resi che non vediamo

Sono davvero gratuiti come ci dicono?

Gli ecommerce sono diventati una parte integrante delle nostre vite: ormai siamo abituati a comprare tutto online e ad averlo in sempre meno tempo. Vestiti, mobili, telefoni, elettrodomestici… la lista sarebbe davvero lunghissima. Le nostre abitudini all’acquisto sono cambiate: se all’inizio c’era un po’ di reticenza nel comprare online alcuni articoli, ormai questa barriera è lentamente crollata. Uno dei motivi principali per cui questo è avvenuto sono loro, i resi.

Non neghiamolo: i resi – soprattutto se gratuiti – sono un ottimo incentivo all’acquisto. Ci danno sicurezza. “Tanto se non va bene posso rimandarlo indietro e mi rimborsano”. Non importa se a volte il reso è a pagamento, se non vieni rimborsat* dei tuoi soldi ma hai semplicemente un buono equivalente o se devi aspettare X giorni per averlo: il reso è una rassicurazione. Ormai soprattutto quando i consumatori comprano online si aspettano il reso: è diventato una consuetudine e se non c’è (a meno che non ci sia una motivazione specifica, come un capo su misura ad esempio), iniziamo a chiederci come mai: vogliono fregarci?

Se pensiamo ai negozi di abbigliamento ad esempio, per loro i resi sono nati per migliorare l’esperienza del cliente che non poteva viverla fisicamente in negozio. In questo modo, qualora i capi provati a casa non andavano bene poteva tranquillamente restituirli. Semplice gentilezza verso il cliente quindi? Non esattamente.
Così facendo infatti, si sono accorti che le vendite aumentavano: un aumento che secondo uno studio su The Journal of Marketing corrisponderebbe al 158 e il 457%. Non male eh?

Resi gratuiti: come funziona?

Vi sarà sicuramente capitato di vedere su tantissimi siti la scritta: RESI GRATUITI. Ne sono certa.
Peccato che di gratuito ci sia un gran poco. In realtà ci sono costi economici e ambientali non da poco, il fatto che quelli economici siano “gratuiti” per voi, significa che sono a carico del negozio. Se avete letto l’articolo sulla fast fashion sapete che di davvero gratuito non c’è nulla: semplicemente sta pagando qualcun altro quello che dovremmo pagare noi.

Ma quali sono dunque i costi economici dei resi?

  • Ritiro del prodotto
  • Trasporto
  • Gestione logistica
  • Magazzino
  • Controllo e riconfezionamento
  • Nuovi imballaggi
  • Riposizionamento: se torna in negozio c’è un ulteriore trasporto, se rimane in magazzino c’è il costo della giacenza

Sì, anche la giacenza in magazzino ha un costo, ed è abbastanza elevato: per questo motivo tante aziende preferiscono scegliere la strada della discarica o degli inceneritori. Secondo un’inchiesta di ITV news, colossi come Amazon arrivano a distruggere anche 100.000 prodotti resi ogni mese per centro logistico, anche se non difettosi e quindi idonei per una nuova vendita. Secondo Optoro, una società che si occupa proprio dei resi per aziende terze, solo il 10% dei resi viene effettivamente rimandato in negozio.

Il trend social dei resi

Come se non bastasse, sui social sono spopolati diversi trend che incentivano ad acquistare e restituire i capi.
Solitamente, per rincarare la dose, si parla principalmente di capi di fast fashion (capi che hanno problemi fin da quando sono pensati insomma).

HAWL DI…

Shein, Bershka, Pull and Bear o qualsiasi altro brand di fast fashion che esista. Si tratta di video in cui le content creator mostrano la quantità spropositata di pacchi che hanno comprato e mostrano i vestiti indossati. Un incentivo all’acquisto davvero spropositato.

KEEP OR RETURN

Altri video che mi hanno invaso TikTok e IG: content creator che provano i capi appena ordinati (magari prima hanno fatto il video di Hawl per far vedere come gli stanno i vestiti) e decidono se tenerli o rimandarli indietro.
Mi chiedo quanti dei capi ordinati servano davvero alla persona che li indossa e quanti invece sono stati acquistati solo per girare il video e guadagnare una manciata di like…

I costi ambientali dei resi

Abbiamo visto gli innumerevoli costi economici delle aziende – e ricordiamoci che se decidono di prenderseli in carico non è perché vogliono far risparmiare i consumatori ma perché sanno che nel medio periodo rientreranno di quei costi. Come se non bastasse però, ci sono anche i costi ambientali dei resi che dobbiamo prendere in considerazione.

Quali sono questi costi?

  • Trasporto: i pacchi vanno ritirati, portati in magazzino e poi in un terzo luogo (che sia il negozio o la discarica)
  • Imballaggi: i prodotti vanno re-imballati nuovamente
  • Smaltimento: avete idea di quanto sia inquinante bruciare prodotti? Quasi nessuno viene infatti smaltito correttamente: ad esempio, i vestiti della fast fashion sono fatti sempre da un mix di fibre di pessima qualità, che non possono certo essere riusate per creare capi nuovi.
  • Emissioni: ognuno dei passaggi elencati sopra prevede delle emissioni di CO2. Secondo i dati riportati da Vogue Business negli USA i resi creano più di 5 miliardi di dollari l’anno in rifiuti che finiscono nelle discariche e più di 15 milioni di tonnellate di emissioni di carbonio: «in pratica l’equivalente dei rifiuti prodotti annualmente da 5 milioni di persone».

Come rendere i resi più sostenibili?

Visti tutti i costi questa domanda sorge spontanea. Alla base c’è sicuramente un miglioramento delle nostre abitudini di acquisto: siamo abituati ad avere tutto e subito, incentivando così ulteriormente le piattaforme ad avere spedizioni sempre più “fast”. Siamo abituati a comprare tanti prodotti perché tanto se non ci vanno bene “li rimandiamo indietro”. Siamo addirittura a buttare capi che abbiamo appena comprato se il costo del reso è più alto del capo stesso.

Il primo step quindi non può che essere uno: FERMARCI. Fermarci e chiederci se davvero ci serve un prodotto, chiederci qual è il reale costo di quell’oggetto, chiederci se non c’è un altro modo più sostenibile per averlo (magari comprandolo usato).

Oltre a ciò che possiamo fare noi però, un contributo potrebbero darlo anche le aziende. Come?

  • Incentivando recensioni dei prodotti, magari con foto e video esplicativi
  • Puntare a packaging più ecofriedly
  • Aderire a progetti di compensazione delle emissioni
  • Rimborso senza sostituzione di quei prodotti che finirebbero in discarica
  • Camerini virtuali
  • Etichette che indicano i costi ambientali del pacco per scoraggiare ulteriormente i resi

Parliamone

E tu? Hai altri suggerimenti sui resi?

Ti aspetto su: marta@gentilmenta.com

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