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I limiti del second hand

Ormai è qualche anno che opto per il second hand come prima scelta, quando possibile. Avere uno stile di vita più consapevole significa anche informarsi su come stanno davvero le cose: avere maggiore consapevolezza sul modo in cui faccio acquisti e su come questo impatta sull’ambiente non è stato facile. Inoltre, fino a poco tempo fa, in Italia, c’erano molti pregiudizi in merito a tutto ciò che era second hand (e un po’ ci sono ancora): per fortuna le cose cominciano a cambiare.

Piano piano ho fatto mio un mantra: comprare meno ma meglio. Per qualcuno può essere particolarmente facile, per me non lo è stato affatto. Ho dovuto ridare nuovamente un valore agli oggetti: se prima pensavo fosse normale acquistare una maglietta di cotone a 5 euro, negli anni mi sono accorta che non era poi tanto normale se dietro c’erano lavoratori che vivevano in condizioni di semi schiavitù. Ho cominciato anche a capire quanto fosse importante avere cura degli oggetti e far sì che questi durassero il più a lungo possibile: spesso trattavo alcuni vestiti come se fossero usa e getta.

I dati sul second hand parlano chiaro: sempre più persone scelgono di comprare usato. Nel 2021 quasi 23 milioni di italiani hanno scelto questa forma di economia circolare e il 66% di chi ha comprato ha guardato alla second hand come primo canale di riferimento. In Italia nel 2021 il second hand ha generato un valore economico di 24 miliardi di euro. (fonte Ansa).

Quali sono le motivazioni che spingono a comprare second hand?

  1. Risparmio: un oggetto usato ha un valore inferiore rispetto all’acquisto nuovo. Non parlo di oggetti vintage, in quel caso potrebbe essere diverso: parlo della maggior parte degli oggetti che troviamo nei vari mercatini dell’usato (online o fisici).
  2. Sostenibilità: per fortuna tante persone fanno questa scelta anche per una maggiore consapevolezza ambientale e sociale. Scelgono infatti di comprare oggetti già presenti sul mercato e di allungare loro la vita.
  3. Trend: ebbene sì, il second hand è a tutti gli effetti un trend, una moda. Sempre più persone infatti scelgono quest’opzione perché vedono l’esempio di amici e familiari, ma anche influencer.
  4. Occasione: tante persone hanno scoperto che cercando nel second hand possono trovare delle vere e proprie occasioni, anche tra i brand del lusso, e possono così permettersi oggetti che, a prezzo pieno, sarebbero lontani dalla loro portata.
  5. Accumulo: tante persone si sono accorte che, comprando oggetti a costo ridotto, possono permettersene di più. Quindi inevitabilmente inizia anche ad esserci molta meno consapevolezza dell’usato. Le persone infatti acquistano compulsivamente – esattamente come facevano prima se non di più – sfruttando i prezzi ridotti.

Appare chiaro che non tutte le motivazioni sono “consapevoli”: il trend può essere comunque sano se una persona si lascia influenzare solo su dove comprare ciò che davvero gli serve e che avrebbe comprato comunque. In quel caso, anziché optare per un prodotto nuovo di pacca, meglio aver scelto un’alternativa second hand. E può essere sana anche quando si tratta di un’occasione. Quello che trovo molto poco sano e distante dall’essere sostenibile nel medio-lungo termine è chi ne approfitta per comprare cose che in realtà non sono affatto necessarie.

Esistono quindi dei limiti al second hand?

Ebbene sì, al di là del motivo per cui una persona scelga il second hand, questo ha – ad oggi – alcuni limiti.

Inclusività

Questo è un aspetto su cui mi sono trovata a riflettere da poco. L’esempio lampante è visibile nel mondo dell’abbigliamento. In questi anni ho girato diversi negozi second hand, sia fisici che online, ma solo da poco mi sono soffermata a guardare cosa c’è davvero. Mi spiego: prima andavo sempre con un obiettivo ben preciso (mi serve un paio di jeans larghi, ad esempio), quindi andavo quasi “diretta” alla meta. Al massimo facevo un giro sommario nel resto del negozio.

Quando però ho cominciato a leggere online che il second hand spesso e volentieri va bene solo per chi ha delle forme “standard”, ho cominciato a farci caso… ed è vero. È sempre un terno al lotto quando si parla di taglie, io stessa ho imparato a conoscermi e so che per un paio di pantaloni posso essere indecisa tra 3 taglie diverse perché entrano in gioco moltissimi fattori. Tuttavia è vero anche che per alcune taglie la scelta è ridottissima o addirittura inesistente. Credo che i vestiti che indossiamo ci debbano far stare bene e debbano essere economicamente accessibili.

Tempo

Un altro fattore che avevo già preso in considerazione è il tempo. Per fare acquisti second hand ci vuole tempo. Che si tratti di abiti, di mobili per la casa, di una macchina (le ho testate tutte). Ci sono campi in cui possiamo e vogliamo scendere a compromessi, altri in cui siamo meno disposti: è normale. Io sono dovuta scendere a compromessi per le sedute da esterno (no, non sono sostenibili).

Mi ritengo fortunata ad avere il tempo per fare ricerca, che sia sui siti o nei negozi. Non tutti hanno il tempo a disposizione per mettersi a fare molte ricerche: il mio compromesso in questi casi è provarci. So che mi servono i mobili da esterno, so qual è il mio budget, so quanto tempo ho per cercarli: faccio del mio meglio. Nel caso dei lampadari invece non abbiamo fretta, siamo da un anno e passa senza ma ci va bene così.

Consumismo

Vi ricordate quando prima abbiamo parlato di chi accumula? Ecco. Da qui si delinea un altro forte limite del second hand. Da una ricerca condotta da Bva Doxa (di cui parleremo tra pochissimo), è emerso che solo nell’online si è passati da un volume di affari da 5,4 miliardi di € nel 2014 a 11,8 miliardi nel 2021, con una crescita netta di 1 miliardo di euro anno su anno. Quali sono le motivazioni che spingono le persone a vendere un oggetto? Per ben il 79% degli intervistati, è liberarsi da oggetti che non si usano più, seguita dal riuso e all’essere contro gli sprechi (44%) mentre per il 39% dei rispondenti si vende usato per guadagnare.


Liberarsi da oggetti che non si usano più: sarei curiosa di sapere quanti stanno solo facendo spazio ad altri oggetti (che poi comunque finiranno per non usare più) e quanti invece stanno facendo un decluttering consapevole. Il limite qui non è nel second hand ma – come spesso accade – dell’uso che ne facciamo.

I dati del second hand

Nonostante i limiti del second hand, sono felice che questo sia in crescita e che ci sia sempre più consapevolezza tra le persone. Stando ai dati dell’ottava edizione (2019) dell’Osservatorio Second Hand Economy condotto da Bva Doxa, azienda italiana di ricerche di mercato, il second hand è diventato uno dei comportamenti di consumo abituali degli italiani, trainata dal digitale.

Secondo questa ricerca, il primo valore di riferimento dell’economia dell’usato resta la sostenibilità (54%). Nel 2021, il second hand risultava essere molto comune tra Laureati (68%), Gen Z (66%), 35-44 anni (70%) e Famiglie con bambini (68%). 

Il canale preferito resta l’online: il 69% di chi ha comprato e venduto oggetti usati, infatti, lo ha fatto online perché più veloce (49%), offre una scelta più ampia (43%) e consente di fare tutto comodamente da casa (41%).

Sempre da questa ricerca, è emerso anche che la frequenza della compravendita di usato continua a crescere insieme al numero di oggetti comprati e venduti. Dall’Osservatorio infatti emerge che Il 72% di chi ha acquistato e il 69% di chi ha venduto lo fa almeno una volta ogni 6 mesi. 

Ma quali sono le categorie più acquistate dagli italiani quando si tratta di second hand?

  1. Motori di seconda mano (11,5 miliardi)
  2. Casa&Persona (5,7 miliardi)
  3. Elettronica (4,1 miliardi)
  4. Sport&Hobby (2,6 miliardi)

Anche lusso e fast fashion si danno al second hand

Inutile dire che, visti i dati economici molto incoraggianti, anche il mondo del lusso e della fast fashion si sono date al second hand. Nel 2019, come segnala ADNKronos, Burberry ha siglato una partnership con TheRealReal, dove sono presenti, tra le altre, griffe come Chanel, Christian Louboutin, Céline, Hermes, Louis Vuitton, Gucci (che si è aggiunto dopo). I consumatori hanno preso molto bene la notizia, anche perché ci sono nuove tecnologie che permettono garantire maggiore tracciabilità e garanzia di autenticità.

Nel 2022 poi, alcuni colossi della fast fashion come Shein e H&M hanno aperto o hanno annunciato la prossima apertura di piattaforme interne per rivendere i propri capi. Non si tratta di una nuova consapevolezza che hanno acquisito dopo le denunce di schiavitù moderna che sono state mosse loro o di rinnovata etica, semplicemente si sono accorti che siamo tutti più sensibili al tema della sostenibilità e della circolarità e loro vogliono approfittarne.

Aprire questi canali non cambia infatti il loro modello di produzione che rimane tuttora un modello di business insostenibile, dal punto di vista sociale, ambientale ed economico. Insomma, in questo caso sì che il trend del second hand perde completamente ogni valore e rimane l’ennesima moda da seguire per acquisire una nuova porzione di mercato e incrementare le proprie entrate (e non nuove consapevolezze). 
Vi consiglio di seguire Roberto Cruciani se siete particolarmente interessat* all’argomento.

Parliamone

E tu? Avevi mai preso in considerazione i limiti del second hand? Ne conosci altri?

Ti aspetto su: marta@gentilmenta.com