La sostenibilità della pelle
Da quando ho iniziato ad avere uno stile di vita più consapevole le mie domande su temi legati alla sostenibilità sono aumentate. Tra quelle che mi faccio più spesso ce ne è una che torna sempre: quanto è – davvero – sostenibile un materiale?
Questo dubbio è ricomparso anche settimana scorsa, dopo aver pubblicato la prima GentilLista sulle realtà sostenibili a Verona. Tra le varie segnalazioni che ho ricevuto, mi è stato suggerito un brand che – a dire il vero – conoscevo molto bene: FiluFilu Bags, di Laura Guerresi. Ammetto che ero molto combattuta se inserirlo o meno, così ho deciso di approfondire il tema della sostenibilità della pelle e soprattutto di parlare con la diretta interessata.
L’origine della pelle
La prima cosa che ho riscontrato è che la pelle che utilizza Laura – solo pelle bovina – proviene esclusivamente dalla filiera alimentare: questo vuol dire che dà un nuova vita a quello che per tanti sarebbe considerato solo uno scarto. Questo scarto non è stato prodotto appositamente per realizzare borse o piccola pelletteria, è uno scarto “inevitabile”, che viene da lei valorizzato.
Qui potremmo sicuramente aprire un dibattito etico, ma in questo momento voglio andare oltre perché di fatto queste “rimanenze” esistono e se non venissero recuperate andrebbero sprecate, e creerebbero ulteriori rifiuti.
Economia circolare
Il primo grande vantaggio quindi, è che siamo di fronte a un esempio di economia circolare.
Secondo il Parlamento europeo, per economia circolare si intende “un modello di produzione e consumo che implica condivisione, prestito, riutilizzo, riparazione, ricondizionamento e riciclo dei materiali e prodotti esistenti il più a lungo possibile. In questo modo si estende il ciclo di vita dei prodotti, contribuendo a ridurre i rifiuti al minimo”.
Esiste una pelle – davvero – sostenibile?
Quando parliamo di sostenibilità pensiamo subito all’impatto che un determinato prodotto ha sull’ambiente, dimenticandoci però di altri aspetti che fanno parte del suo ciclo vitale, dal suo approvvigionamento allo smaltimento.
Questi processi sono regolamentati in maniera diversa da paese a paese, ad esempio la Cina o il Bangladesh non hanno gli stessi standard qualitativi che abbiamo in Europa.
L’industria della pelle – in Italia – ha di fatto trasformato uno scarto dell’industria alimentare (le pelli di bovini, ovini, caprini…) in una risorsa. L’UNIC (Unione Nazionale Industria Conciaria) sta provando ad alzare sempre di più gli standard di sostenibilità della produzione del cuoio, non solo per l’ambiente, ma anche per i lavoratori (proprio perché dobbiamo considerare l’intero ciclo di vita di realizzazione del prodotto).
Da qui, la garanzia di pellami Made In Italy, la promozione di progetti per la trasparenza della filiera – a partire dagli allevamenti, e le relative certificazioni ICEC TS410 e ICEC TS412, affinché si possa tracciare tutto il percorso delle materie prime.
L’industria conciaria in Italia
In Italia ci sono 3 grandi poli conciari: Arzignano in Veneto, Santa Croce sull’Arno in Toscana e Solofra in Campania. Per essere davvero sostenibili dovremmo guardare non solo l’impatto ambientale di queste aziende, ma anche quello economico e sociale.
Sul fronte economico, secondo il rapporto di sostenibilità 2020 dell’UNIC, la produzione italiana ha un valore di produzione che supera i 4,5 miliardi di euro, garantendo non solo numerosi posti di lavoro ma anche standard lavorativi in costante miglioramento (ad esempio, c’è un lento ma graduale calo degli infortuni sul posto di lavoro e un aumento della percentuale femminile). Non solo: secondo il report, c’è anche una stretta interdipendenza con le comunità locali. Se da un lato creano quindi posti di lavoro e forniscono contributi economici, dall’altro dipendono dalla qualità della vita, dalla stabilità e dal livello di sviluppo delle comunità in cui sono inseriti.
Per questo motivo sono nati progetti di valorizzazione dei territori dal punto di vista sociale e culturale, come ad esempio esempio la collaborazione con il Parco Archeologico di Pompei per il restauro e la fruizione del più grande impianto artigianale per la lavorazione delle pelli rinvenuto nella città antica.
Le caratteristiche della pelle
L’industria conciaria non lavora solo con la moda, ma anche con i settori del design, dell’arredamento, dell’automotive… persino con il settore farmaceutico (per adesivi e collanti, ad esempio). Questo perché la pelle è un materiale versatile, durevole e con grandi qualità, strutturali ed estetiche. È al 100% rinnovabile e di origine biologica, ed è prodotta al 99,5% da materiali di recupero. Nel caso dell’UNIC poi, viene usata solo pelle Made In Italy.
Dal report di sostenibilità 2020 sono emersi due aspetti molto importanti – su cui c’è un costante lavoro di miglioramento in corso:
- la responsabilità: degli impatti del processo di lavorazione della pelle, del ruolo socio/economico dei territori, del modello circolare, della gestione delle risorse e delle azioni per migliorare l’efficienza energetica e ridurre le emissioni di carbonio;
- la tracciabilità – e l’etica – dell’animale.
Dal 24 ottobre 2020 è anche entrato in vigore il decreto legislativo n. 68 del 9 giugno 2020, che ha rinnovato le definizioni di “pelle” e “cuoio”, disciplinandone anche l’etichettatura per i settori non normati a livello europeo, come ad esempio la calzatura. Secondo questa normativa, la pelle deve avere almeno 2 caratteristiche: deve essere di origine animale e deve avere una struttura fibrosa integra.
Che cos’è l’ecopelle
Quando parliamo di ecopelle parliamo di pelle ecologica, ovvero una pelle prodotta a basso impatto ambientale. Per essere considerata tale deve rispettare i requisiti UNI 11427 “Cuoio – Criteri per la definizione delle caratteristiche di prestazione di cuoi a ridotto impatto ambientale”.
L’ecopelle, o pelle ecologica, viene inoltre prodotta con la concia vegetale. La concia al vegetale utilizza solo ingredienti naturali (tannini), derivati dalla corteccia degli alberi e dai fiori. La lavorazione vegetale è più lunga e costosa e produce più rifiuti da smaltire, ma non lascia metalli da depurare nelle acque reflue.
L’alternativa principale alla concia vegetale è quella al cromo, molto discussa sul fronte ambientale in quanto ritenuta molto inquinante (nonostante le recenti tecnologie di depurazione moderna permettano di riciclare e riutilizzare il cromo per altre lavorazioni).
Il modello circolare conciario
Il modello circolare vale anche per le industrie conciarie: questo significa che la gestione delle risorse naturali diventa essenziale. Queste vanno infatti gestite a monte della filiera, aumentando l’efficienza dei processi di lavorazione e riducendo al minimo gli sprechi. Il tutto mantenendo il più possibile il valore dei prodotti e dei materiali, utilizzando quanti più scarti possibili e materie prime seconde. La filiera va però gestita anche a valle: evitando scarti inutili e optando per recupero e reintroduzione dei materiali nel sistema economico.
Le acque
L’acqua è una risorsa fondamentale, anche per le lavorazioni industriali (è un mezzo di reazione essenziale).
Come funziona il ciclo delle acque?
- Approvvigionamento dalla falda acquifera o dall’acquedotto
- Pretrattamento per eliminare metalli e altre sostanze non consone per la pelle
- Utilizzo dell’acqua in circolo per fasi ad umido dei processi – produzione di vapore – cicli di lavaggio e pulizia, impianti di abbattimento e raffreddamento.
- Rilascio
In questo caso il problema non è – tanto – in consumo di acqua, visto che il 93% è poi scaricato come refluo di processo (viene infatti depurata e riutilizzata o restituita all’ambiente). Il vero problema sono le acque che vengono contaminate da sostanze chimiche durante i passaggi.
Le emissioni
Le emissioni di gas serra sono la principale causa dei cambiamenti climatici. Nell’industria conciaria è principalmente l’anidride carbonica prodotta nei processi di combustione e correlata al consumo di combustibili.
L’UNIC si è posta come obiettivo quello di migliorare l’efficienza dei macchinari ad alto consumo e ad elevata dispersione termica senza recupero di calore o isolamento. L’impegno che si è posta è quello di sostituire gli impianti a gasolio con quelli elettrici, sfruttando l’energia green, ovvero quella ottenuta da fonti rinnovabili, a impatto zero. Ci sono anche aziende che hanno pianificato la compensazione delle emissioni.
Un altro problema considerevole sono le emissioni di solventi – anch’esse ridotte negli ultimi anni ma da migliorare.
Gli scarti
I rifiuti dell’industria conciaria possono possono essere trasformati in biostimolanti e fertilizzanti per agricoltura biologica, ma possono trovare posto anche nelle calzature o nella piccola pelletteria. Secondo il report sulla sostenibilità 2020 dell’UNIC, il 75,4% dei rifiuti viene recuperato.
Green New Deal
L’UNIC si è impegnata nel “Green New Deal”, un progetto europeo che tende a massimizzare tutti i processi di lavorazione. Infatti, grazie a collaborazioni inter-filiera, la maggior parte di quelli che sono considerati scarti dell’industria conciaria, sono recuperati come materie prime per altre industrie. I fanghi depurati, ad esempio, vengono utilizzati dall’industria agricola e quella energetica, mentre il collagene viene utilizzato nell’industria farmaceutica, cosmetica o alimentare. Il cromo viene recuperato e riutilizzato all’interno della conceria stessa, lo stesso avviene per eventuali scarti di pellami già finiti.
La tracciabilità
La tracciabilità è un punto essenziale della filiera: tracciare l’origine delle materie prime e avere così un elevato grado di controllo sulla filiera a monte. Esistono due certificazioni – la ICEC TS410 e la ICEC TS412 – che sono specifiche per certificare e tracciare le pelli grezze e semilavorate (dalle informazioni sui paesi ai luoghi di origine all’allevamento). Il tutto documentato e verificabile.
La sostenibilità nelle borse di Laura
Tornando quindi a FiluFilu Bags e alla mia chiacchierata con Laura, ho ritrovato nella sua produzione molti aspetti sostenibili.
Dalla scelta delle pelli, solo naturali e non sintetiche, con possibilità di acquistare anche piccole quantità, alla filiera corta e trasparente. Come dice Laura, “ciò che separa la vendita dalla produzione è…un corridoio!”.
Per me questo è un punto molto importante: sapere chi produce un prodotto e come è un valore imprescindibile. Laura poi non ha magazzino, tutto quello che produce viene venduto.
Essendo una piccola produzione il consumo di risorse, dall’acqua all’energia, è relativamente basso: Laura infatti crede fermamente nel concetto di slow shopping.
Gli scarti che produce sono davvero esigui: con le pelli avanzate riesce sempre a creare qualcosa di nuovo, dalle puntine agli orecchini. E gli scarti finali spesso e volentieri vengono dati a scuole (per fare i lavoretti) o a ditte edilizie.
Parliamone
In questo – lungo – articolo, ho provato a raccogliere tutte le informazioni più importanti per capire quanto possa essere sostenibile o meno la pelle. Non ho parlato volutamente della pelle vegana perché secondo me merita un articolo a parte, visto che si va a toccare la sfera etica.
Sicuramente c’è ancora molto da imparare e da raccontare in merito, ma intanto mi sono resa conto di cosa c’è dietro, del modello circolare su cui si basa la produzione.
Personalmente apprezzo molto il lavoro fatto da Laura e dai piccoli artigiani come lei: ammiro molto come riescano a dare un enorme valore a ciò che per tanti sarebbe solo uno scarto, un rifiuto.
E tu? Vedi una sostenibilità nella pelle?
Ti aspetto su: marta@gentilmenta.com